L'Atlante Mariano

L'Atlante Mariano e l'Istituto "Antonio Provolo"

Nel corso dell’Ottocento, in diversi stati della Penisola vennero fondati Istituti per sordomuti, generalmente diretti da sacerdoti che utilizzavano la lingua dei segni per la trasmissione dei contenuti scolastici. Nel 1830 il prete veronese Antonio Provolo decise di occuparsi del problema, spinto anche dalla necessità di sostituire Lodovico Maria Besi, il quale aveva raccolto in alcune stanze un gruppo di sordomuti per dare loro un'istruzione e che ora era in partenza per le missioni: il Provolo aprì una scuola nella città scaligera e fondò, nel 1839, una congregazione maschile, la “Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti”.

Ubicazione dei principali istituti italiani per sordi, fondati tra il 1784 e il 1885

Ubicazione dei principali istituti italiani per sordi, fondati tra il 1784 e il 1885

(fonte: http://www.istc.cnr.it/mostralis/pannello10.htm)

In quello stesso anno, un altro sacerdote veronese, Agostino Zanella, con l’esplicito intento di finanziare l’opera cristiana e filantropica dell’Istituto dei sordomuti della sua città, decise di tradurre in italiano l’Atlas Marianus, splendida raccolta illustrata di immagini miracolose mariane.

Atlas Marianus

Atlas Marianus Sive de Imaginibus Deiparae Per Orbem Christianum Miraculosis

Concepita nel 1650 e pubblicata in latino nel 1657 e in tedesco l’anno successivo, l’opera era nata grazie alla collaborazione tra l’autore, Wilhelm Gumppenberg - gesuita bavarese per 4 anni penitenziere in Vaticano e per 33 predicatore e professore di Teologia in Germania - e i provinciali della Compagnia di Gesù di mezza Europa che avevano accolto con entusiasmo l’invito di Gumppenberg di inviare immagini mariane e notizie sulla loro origine. Fu così che il gesuita riuscì a mettere insieme circa 1200 immagini miracolose della Vergine, nella successiva edizione del 1672.

Ritratto di Guglielmo Gumppenberg

Ritratto del gesuita Wilhelm Gumppenberg (1609-1675)

Per gentile concessione di Antiche Carte di Teddy Russino

Quasi due secoli più tardi, Zanella, in collaborazione con l’editore Giambattista Maggia e il tipografo Sanvido, convinto che la storia delle immagini di Maria venerate in tutto il mondo cristiano non potesse essere un’esclusiva riservata ai dotti, ne approntò una traduzione in italiano. Stimolo alla realizzazione di una nuova edizione dell’opera fu la constatazione della rarità del classico di Gumppenberg, causata anche dalla strategica “malizia dei Protestanti”, contrari al culto delle immagini, che ne avevano raccolto a qualunque prezzo il maggior numero di copie per poi distruggerle in improvvisati roghi di libri.

L'Atlante Mariano ottocentesco - segnalato da Stefano Fasoli in un breve post del 19 marzo scorso, pubblicato sul sito di Biagio Gamba - differisce dall’originale latino per l’aggiunta di numerose e più recenti immagini miracolose, oltre che per un accentuato e rigoroso ordine geografico. Nel progetto iniziale del prete veronese l’Europa è infatti suddivisa in tre aree geografiche: Settentrionale (Inghilterra, Danimarca, Svezia, Norvegia), Media (Francia, Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Prussia, Austria) e Meridionale (Italia, Spagna, Portogallo, Turchia). In varie biblioteche italiane è possibile consultare l’opera che include anche immagini mariane di altri stati europei - come la Polonia, la Russia o la Grecia - e dei continenti extra-europei (Asia, Africa, America). Il tomo d’esordio, edito nel 1839, illustra le Madonne veronesi e veneziane, in un percorso del territorio italiano, svolto nei vari tomi, da settentrione a mezzogiorno: il Regno Lombardo-Veneto, il Regno Sardo, il Ducato di Parma, di Modena, il Gran Ducato di Lucca, lo Stato Pontificio, il Regno delle due Sicilie. L’apertura spetta ovviamente alla città sede di pubblicazione, Verona, con le incisioni della Madonna del Popolo e della Madonna della Scala.

Madonna del Pilastro (Padova)

Questa è, per sommi capi, l’origine dell’Atlante Mariano, venduto attraverso un sistema simile all'attuale abbonamento, ma che prevedeva anche una quota a favore del "pio istituto de' Sordi-Muti", l'attuale Istituto "Antonio Provolo": al fondo di ogni volume era inserito un elenco alfabetico degli associati all'Atlante Mariano, ossia "de' caritatevoli i quali si obbligarono alla elemosina mensile". Nella sua lodevole segnalazione dell’opera, Fasoli cade tuttavia nell’equivoco di considerare le immagini come frutto della tecnica litografica. È necessario qui aprire una parentesi. In una recente occasione ho già avuto modo di avanzare dubbi sulla legittimità di definire la litografia un’incisione. Come è noto, si è soliti suddividere le incisioni seguendo il criterio della tecnica usata: “in rilievo”, come ad esempio nella xilografia, o “in cavo”, come nell’incisione a bulino. Altra importante distinzione va fatta tra incisioni dirette, quando si incide il metallo con un apposito utensile (ad esempio il bulino o la puntasecca) e incisioni indirette, quando un processo di corrosione o morsura intacca la lastra (come nel caso dell’acquaforte o dell'acquatinta). 

La litografia, come recita l’Enciclopedia Treccani, è invece un “metodo di stampa con matrice piana che utilizza un procedimento fisico-chimico, basato sulla repulsione tra acqua e sostanze grasse”. Il lavoro grafico è quindi eseguito direttamente sulla pietra o, se si utilizza il metodo di riporto, su un foglio di carta. Non c'è quindi alcun intervento di incisione, perché la superficie piana è soltanto disegnata. Malgrado ciò, talvolta, in maniera del tutto impropria, ci si riferisce alla litografia considerandola una forma di incisione, mentre, a rigore, dovrebbe essere invece considerata una tecnica di stampa o una tecnica di riproduzione delle immagini.

Varie figure della serie dell’Atlante Mariano riportano in calce “inv. e inc.” (inventò e incise) o “dis. e inc.” per siglare il ruolo di disegnatore e incisore dell'immagine; alcune, ad esempio, riportano il nome di Antonio Maria Sorgato (1802-1875), affermato incisore e pittore padovano. L’utilizzo dell'abbreviazione “inc.” è un chiaro indizio che dimostra che quelle immagini non sono litografie su pietra ma incisioni su metallo. In una litografia, specie se di medio o grande formato, può comparire la firma del disegnatore e/o il nome del litografo, ma quest’ultimo non viene mai indicato come “incisore”. In quel periodo, la tecnica litografica, che si stava diffondendo in Italia da un ventennio circa, era considerata una tecnica nuova e del tutto differente rispetto alle varie forme di incisione. Anche un’analisi morfologica del tratto, come ad esempio l’osservazione di un certo tipo di tratteggio incrociato, condotta con una buona lente di ingrandimento, può essere d’aiuto nel riconoscimento della tecnica e nello scioglimento di dubbi o incertezze.

© Flavio Cammarano 

Madonna del Torresin (Padova)

L'incisione della Madonna del Torresin e quella della Madonna del Pilastro

sono riprodotte per gentile concessione di Antiche Carte di Teddy Russino.